PRATI STABILI POLIFITI E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE
Fu probabilmente solo nel ‘600 che si iniziarono a distinguere i prati stabili polifiti da quelli da vicenda, quando cioè nelle campagne emiliane si cominciò a coltivare prima il trifoglio pratense e poi l’erba medica. I prati stabili, risalenti ai primi terreni bonificati, erano formati da diverse specie di erbe nate spontaneamente, mentre i prati da vicenda erano i prati che venivano seminati su terreni appositamente preparati ed entravano nella “rotazione” aziendale.
Naturalmente i prati venivano impiantati solo dove si poteva irrigare, utilizzando con molta avvedutezza l’acqua che i canali, le risorgive o i pozzi artesiani potevano offrire. Il forestiero che nei secoli scorsi viaggiava sulla via Emilia, restava colpito dagli innumerevoli prati perfettamente livellati che incontrava sul suo cammino. I contadini emiliani erano infatti abilissimi nell’eseguire le operazioni di livellamento dei prati, funzionali alla massima utilizzazione dei pochi quantitativi di acqua disponibili.
I prati polifiti erano detti stabili poiché una volta impiantati non venivano mai “rotti”, specialmente quelli situati nelle immediate vicinanze delle case coloniche, detti in gergo “pre da ca”, utilissimi e comodi per approvvigionamenti d’erba nelle giornate piovose. I prati stabili, proprio perché non arati, presentano ancora oggi una grande varietà di erbe ed essenze, grazie alla propagazione spontanea delle specie, e per questo vengono detti polifiti. Il foraggio proveniente dagli sfalci dei prati stabili polifiti costituisce un ottimo alimento per l’alimentazione delle bovine e conferisce profumi e aromi caratteristici e distintivi al Parmigiano Reggiano.
I PRATI STABILI POLIFITI CONTRIBUISCO ALL’ARRICCHIMENTO IN SOSTANZA ORGANICA DEI SUOLI E AL CONTENIMENTO DELLE EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA IN ARIA
I prati stabili polifiti contribuisco inoltre all’arricchimento in sostanza organica dei suoli e al contenimento delle emissioni di anidride carbonica in aria. Questo il tema centrale del progetto triennale Prati-Co avviato nel novembre del 2016, finanziato dalla Misura 16 del Programma di sviluppo rurale dell’Emilia Romagna 2014-2020, coordinato da I.Ter società cooperativa, azienda bolognese attiva nello studio dei suoli, e avente come partner il Crpa di Reggio Emilia, il Consorzio Bibbiano “La Culla” e cinque aziende collegate alla produzione di Parmigiano Reggiano del territorio di Bibbiano (Reggio Emilia) e dintorni.
“Rompere” un prato, nel gergo rurale, significa eliminare una coltura per lasciare spazio ad altro. Oggi sappiamo che le biomasse agricole hanno un’importantissima funzione ecologica nel limitare l’eccesso di anidride carbonica in atmosfera, tra le principali cause dell’ “effetto serra”. Grazie alla fotosintesi le piante crescono e trasformano il carbonio dell’atmosfera – derivato dall’anidride carbonica – in radici, steli, fiori. Sempre attraverso la fotosintesi parte del carbonio è immobilizzata per tempi anche molto lunghi in sostanza organica nel suolo. Va sottolineato il fatto che questo processo è massimo durante l’accrescimento delle piante.
I prati stabili polifiti, che non vengono rotti ma semplicemente sfalciati 4 o 5 volte in un anno, sono in continua ricrescita. Recenti analisi dei suoli hanno dimostrato che il prato stabile è capace di fissare circa 180 tonnellate di carbonio per ettaro nei primi 50 centimetri di suolo. Questo quantitativo corrisponde al 25% in più rispetto alla quantità di carbonio per ettaro fissata da un suolo posto a seminativo, come ad esempio un medicaio. Nel terreno, di fatto, i prati stabili stoccano carbonio, sotto forma di sostanza organica, sottraendolo all’atmosfera.
I prati stabili polifiti, inoltre, grazie alla continuità della presenza di una copertura vegetale, riescono a minimizzare le percolazioni di nitrati verso le falde, grazie al ritmo di assorbimento protratto lungo tutta la stagione colturale. I nitrati sono una forma solubile dell’azoto, elemento fondamentale nella nutrizione delle piante, ma la loro solubilità può determinare il degrado delle acque, concorrendo all’accrescimento di organismi vegetali acquatici come le alghe e rappresentare un fattore di tossicità per animali e uomo. Per questo ultimo motivo è fissato un limite di nitrati per la potabilità delle acque, pari a 50 mg/l, e sono state identificate le cosiddette “zone vulnerabili ai nitrati”, per le quali sono poste limitazioni riguardo l’utilizzo di liquami e letami. In area padana il carico bestiame per ettaro è molto elevato e i prati stabili finiscono per svolgere una funzione ambientale molto importante, quella di salvaguardare la qualità delle acque sotterranee.
Purtroppo i prati stabili polifiti non sono ancora tutelati come patrimonio della collettività. Occorrono maggiori incentivi al loro mantenimento, parallelamente alla diffusione di sistemi irrigui efficienti. Capita oggi sempre più spesso di assistere alla “rottura” del prato stabile a favore di altre colture o della cementificazione. La fluttuazione dei prezzi dei prodotti agricoli fa sì che i prati stabili vengano abbandonati a favore di colture cerealicole più redditizie, di medica o di colture industriali come il pomodoro.
Che cosa si perde ogni qual volta si “rompe” un prato stabile? In termini agronomici, si perde un foraggio di alta qualità. In termini ambientali, invece, liberiamo anidride carbonica in atmosfera. Arando un ettaro di prato stabile si libera in atmosfera tanta anidride carbonica quanta ne libera un’autovettura di media cilindrata che percorre due milioni di chilometri! Perdiamo inoltre la capacità di tutelare le acque sotterranee dalle infiltrazioni di nitrati. Riduciamo la biodiversità e la tutela dell’ecosistema e perdiamo infine un elemento caratterizzante il nostro paesaggio da secoli.
Quindi, “non rompiamoli”, perché hanno un valore eccezionale: come dimostrato dal progetto “forage4climate”, finanziato per quattro anni dall’Unione europea nell’ambito del Programma Life + Climate Change Mitigation project (Life15 CCM/IT/000039), a partire da settembre 2016, il climate change può essere mitigato dai sistemi foraggeri, grazie alle minori emissioni di gas serra e al maggiore stoccaggio di carbonio nel suolo.
I prati stabili polifiti delle provincie di Parma e Reggio Emilia hanno un ruolo rilevante nella sostenibilità ambientale della produzione di Parmigiano Reggiano, vieni a scoprirli con Artemilia!